(Articolo a cura di Susanna Ribeca, scrittrice)
Potete crederci o meno, ma la prima banconota orizzontale giapponese, un biglietto da 1 yen, fu progettata e stampata nel 1877 da un tecnico e artista italiano, Edoardo Chiossone.
Poco tempo dopo, ne creò una da 5 yen. Più tardi, quando fu costituita la Banca del Giappone, l’officina di Chiossone completò la serie con banconote da 10 e da 100 yen.
La storia di Edoardo Chiossone è molto interessante e merita di essere raccontata; coincide proprio con la fine del periodo d’isolamento del Giappone, durato due secoli, e con l’inizio del periodo Meiji (1868-1912).
Nel 1871, affinché la nazione si modernizzasse, l’imperatore aveva inviato negli Stati Uniti e in Europa una missione composta da politici, diplomatici, funzionari governativi, studenti: centosette persone, fra cui cinque ragazze che avrebbero completato gli studi frequentando all’estero le scuole superiori.
La missione doveva studiare l’organizzazione della giustizia, il sistema finanziario e assicurativo, il regime dei cambi e delle dogane, la rete dei trasporti e delle comunicazioni, le istituzioni scolastiche, l’apparato militare e industriale.
Il risultato, negli anni seguenti, fu un nuovo Paese, straordinario mosaico di modelli amministrativi e istituzionali. L’organizzazione dell’esercito fu presa a prestito dalla Germania, la flotta e la banca centrale dalla Gran Bretagna, il sistema prefettizio dalla Francia. E dall’Occidente nel suo insieme arrivarono il sistema metrico decimale, il calendario gregoriano, il servizio militare obbligatorio, i censimenti, lo standard aureo e il sistema postale.
Fra le molte cose necessarie al rinnovamento dello Stato alcune richiedevano una certa abilità artistica: banconote, francobolli, obbligazioni, titoli azionari. E qui la storia nipponica si fonde con quella dell’italiano Chiossone.
Edoardo Chiossone nacque ad Arenzano (Genova) il 20 gennaio 1833 da Domenico Chiossone e da Benedetta Gherardi.
Tra il 1847 e il 1855 frequentò all'Accademia ligustica (ossia, ligure) i corsi di incisione tenuti da Raffaele Granara, ottenendo ripetuti riconoscimenti ufficiali.
Infatti, nel corso degli anni 47-55 risulta premiato "per una mezza figura" da Michelangelo, per il disegno di S. Giovanni Battista di Donatello, per lavori d'incisione eseguiti al bulino e all'acquaforte (Ritratto di vecchia; Dar da bere agli assetati).
Per altre incisioni (Musicista, Ritratto di bimba, S. Giulia) l'accademia stessa conserva testimonianze.
Infine, nel 1855, per la classe di pittura, la commissione lodò particolarmente "l'accademia seduta", probabilmente identificabile in un disegno con "Studio di nudo maschile", conservato nel medesimo istituto.
Nel 1857, ancora sotto l'egida del suo insegnante Granara, il Chiossone incise Giotto e Cimabue da Giuseppe Isola e, nel 1858, “Pane e lacrime” da Domenico Induno (in entrambi i casi la firma è accompagnata dalle indicazioni "nello studio Granara" e "Firenze. Stecchini impresse").
I dipinti di base furono esposti alle mostre della Società promotrice di Belle Arti di Genova e l’incisione dal dipinto dell’Induno, premiata all'Esposizione italiana di Firenze nel 1861, fu tra le opere scelte per l'Esposizione di Londra del 1862 e l’Esposizione universale di Parigi del 1867. Specialmente a partire dal 1857 egli mostrò di aderire alle espressioni del filone storico-romantico.
La grande raffinatezza raggiunta nell'arte incisoria gli valse, da parte della Banca Nazionale del Regno d'Italia, l'incarico di realizzare nuovi procedimenti ed accorgimenti grafici nell'emissione delle carte valori; Chiossone dunque si recò a lavorare negli stabilimenti Dondorf di Francoforte. Ma ben presto la Banca italiana mostrò di sottovalutare le innovazioni da lui suggerite; deluso, passò in Inghilterra, senza abbandonare le ricerche di perfezionamento grafico.
Francobollo dedicato ad Edoardo Chiossone
Nel 1874, mentre si trovava a Londra, gli si presentò l'occasione di una svolta decisiva, la possibilità di affermare a livello internazionale la sua personalità di artista, da un lato, e dall'altro di dare inizio all'acquisizione di un inestimabile patrimonio artistico che costituirà, dopo la sua morte, uno dei più singolari musei italiani (il Museo d’arte orientale Chiossone di Genova).
La missione giapponese di rinnovamento del Paese incontrò il Chiossone, ebbe l’occasione di visionare i suoi lavori e nacque subito l’ammirazione da entrambi i lati. Il ministro plenipotenziario giapponese in Germania lo ingaggiò per istituire e dirigere a Tokyo una nuova officina per una stampa più moderna di titoli di Stato e banconote (che prima venivano stampate verticalmente su matrici di legno, pertanto erano tutte diverse tra loro e di facile contraffazione).
Egli accettò l'incarico e raggiunse Tokyo il 14 gennaio 1875 per prestare la sua opera al nuovo Poligrafico del Ministero dei Tesoro (denominato, a partire dal dicembre 1878, "Okurasho Insatsu Kyoku"), sulla base di un contratto triennale, poi rinnovato fino al luglio 1891.
Venne subito apprezzato per la sua serietà ed il suo attaccamento al lavoro: il suo superiore, il direttore del Poligrafico Tokuno Ryosuke, lo elogiò pubblicamente, poiché lavorava anche di domenica e perfino di notte pur di terminare in fretta le consegne.
Ryosuke, ex-samurai del feudo di Satsuma, era un uomo deciso, determinato ed inflessibile che, insieme a molti altri samurai, era stato un artefice della Restaurazione e che, all’inizio dell’epoca Meiji, deteneva a Tokyo un grande potere.
Stimava molto Chiossone e lo ritenne indispensabile per lo sviluppo del Poligrafico, tanto che gli assegnò un compenso altissimo e licenziò diversi famosi artisti giapponesi per assumere lui.
La vicenda provocò grandi polemiche anche sui quotidiani locali, ma non valsero a nulla, dato che Tokuno Ryosuke poteva gestire il Poligrafico come un suo possedimento personale e continuò a proteggere e valorizzare Chiossone a discapito di chiunque altro. La scelta si rivelò fondamentale, dato che, senza le tecniche moderne apportate dall’italiano, il Giappone non sarebbe mai stato in grado di produrre banconote o francobolli autonomamente, senza affidarsi ad officine occidentali.
Fra l'altro, si deve a lui l'introduzione della carta filigranata.
La prima banconota contenente una figura umana, l’immagine della leggendaria imperatrice Jingū
Lo stipendio mensile dell’artista italiano era molto alto, ben 450 yen (attuali 15.000 euro) e una casa, uno dei salari più alti pagati a uno straniero, il doppio di quello del collega Antonio Fontanesi, che era stato assunto per insegnare pittura ad olio.
La casa di Chiossone era situata fuori dall’enclave dei forestieri a Tsukiji: prima visse a Kanda (al centro di Tokyo) e poi a Kōjimachi, con uno stuolo di domestici.
Chiossone, dunque, lavorò presso il Poligrafico di Stato giapponese fino al 1891, ricoprendo anche l’incarico di istruttore speciale delle tecniche e dei procedimenti d’incisione e di stampa industriale, istruendo il personale non solo nelle tecniche di incisione e stampa all’avanguardia, ma anche fornendo loro le basi di disegno e pittura occidentale.
Incise più di 500 lastre di certificati per titoli di proprietà, francobolli, banconote, buoni del Tesoro, titoli e obbligazioni, certificati di prestiti industriali, marche da bollo e legali, contrassegni di Stato (per tabacchi, liquori, soia).
Egli pensava che fosse fondamentale inserire figure umane sulle banconote, al fine di impedirne la contraffazione, e dunque diventò famoso anche come ritrattista.
Infatti, era uno dei pochi artisti ad essere in grado di ritrarre i giapponesi con dignità ed a proprio agio in abiti occidentali, pur non rinunciando alla verosimiglianza. La sua fama fu tale che fu l’unico ritrattista ufficiale dell’imperatore Meiji.
L’imperatore era famoso per la sua avversione alle foto. L’unico ritratto esistente in quel periodo era solo una fotografia scattata dieci anni prima: si rifiutava di essere fotografato di nuovo. Ma la propaganda del nuovo Stato esigeva la diffusione della sua immagine, per cui Chiossone fu incaricato di farne un ritratto e delle incisioni.
Così il grande ciambellano Tokudaiji Sanemori fece in modo che egli disegnasse il sovrano nel Palazzo Imperiale da dietro uno schermo. Dai suoi schizzi, l’italiano produsse due disegni dell’Imperatore, uno in uniforme militare e l’altro in abiti civili.
Questi ritratti furono poi fotografati e diventarono le immagini ufficiali, servendo come base per tutte le rappresentazioni familiari. Il suo famoso ritratto è così realistico che è stato spesso scambiato per una vera fotografia.
Nelle banconote Chiossone diede il volto anche a molti personaggi storici giapponesi, come la mitica imperatrice Jingu, Wakeno Kiyomaro, Fujiwara Kamatari, ispirandosi a politici contemporanei.
Il ritratto del famoso samurai Saigō Takamori merita un discorso a parte.
Nel 1883, a Chiossone fu chiesto di fare un ritratto di Saigō, che purtroppo era già morto da sei anni; l’artista italiano decise di combinare le fattezze del fratello minore di Saigō e di un suo cugino. Il risultato destò molto scalpore e di fatto è diventato il ritratto standard e il modello per la famosa statua in bronzo di Takamori nel parco di Ueno.
Dal 1° maggio al 19 settembre 1879, allo scopo di ampliare la sua conoscenza del Giappone e del suo patrimonio artistico, Chiossone compì un viaggio nelle regioni del Kantō, del Chūbu e del Kinki, accompagnato da Tokunō Yoshisuke (che dal 1877 era primo segretario al Tesoro) e da altre dodici persone.
Del viaggio, che toccò i principali siti storici e monumentali - tombe, templi, santuari e tesori nazionali - e che ispirò gli itinerari di successivi studiosi, rimane un rapporto redatto da Yoshisuke, “Junkai nikki” (Diario di viaggio), oltre a 510 fotografie e 200 disegni. Sulla base di tale documentazione si realizzò la “Kokka yohō”, la “Perdurante Fragranza della Gloria Nazionale”, una monumentale rassegna curata e stampata dall’Okurasho lnsatsu Kyoku, edita tra il 1880 ed il 1883 in quattordici volumi.
Anche dopo la fine del suo incarico, Chiossone continuò a vivere a Tokyo. Per i suoi meriti, il governo giapponese gli conferì l’onorificenza dell’Ordine del Sacro Tesoro di III Classe.
Morì l’11 aprile del 1898 per insufficienza cardiaca nella sua casa di Kojimachi e venne sepolto nel cimitero di Aoyama, nella sezione dedicata agli stranieri, in una tomba su cui è scritto: «Alla sacra memoria del professore Edoardo Chiossone», e su cui sono scolpiti i simboli dei maestri incisori: un martello e uno scalpello incrociati.
Gli vennero tributati onori militari e funerali di Stato ma, siccome dopo la sua morte il Giappone attraversò un periodo di rinnovato nazionalismo, scese l’oblio sulla sua figura.
Forte di una solidissima conoscenza dell'arte giapponese, sorretto dalla sua sensibilità d'artista, agevolato infine dalla sua posizione sociale che gli favoriva contatti con i più alti rappresentanti della vita politica, economica, culturale del Giappone, Edoardo Chiossone fu in grado di raccogliere una tra le più cospicue collezioni d'arte del Paese, comprendente stampe, pitture, armi, armature, bronzi, ceramiche e porcellane, smalti, lacche, maschere teatrali, stoffe, monete e altri tipi di oggetti (per oltre 15.000 pezzi).
Nel suo testamento, donò l'intera collezione all'Accademia ligustica, "mia madre in arte".
Il materiale fu trasferito a Genova nel 1899. Dopo varie vicissitudini burocratiche, e non senza l'intervento del Comune di Genova, erede in via surrogatoria della collezione, il museo fu aperto al pubblico nel palazzo dell'Accademia nel 1905.
Dal 1971 esso è stato riaperto, con nuovi criteri di sistemazione, in un edificio espressamente progettato nel parco della villetta Di Negro a Genova, con nuovi inserimenti nei settori della scultura cinese e thailandese, grazie ad acquisti effettuati a partire dal 1953.
In occasione dell'anno dell'Italia in Giappone 2001-2002, la sua figura è stata oggetto di un tributo.
È stato detto di lui:
“Incisore italiano
invitato in Giappone nel 1875 dall'Officina carte valori del Ministero delle Finanze
valente tecnico e insigne artista
contribuì allo sviluppo dell'arte della stampa in Giappone e all'amicizia tra i due Paesi”
(Articolo a cura di Susanna Ribeca, scrittrice)
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