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LA STORIA DEI SAKURA: Prima parte

Aggiornamento: 11 mar 2022

Duemila anni di amore fra giapponesi e fiori di ciliegio

(Articolo a cura di Susanna Ribeca, scrittrice)


Prima parte



Il Giappone è il Paese che ha innalzato il ciliegio ornamentale al rango di ispiratore per letterati e guerrieri.

L’ideologia del sakura è stata spinta fino a giustificare il nazionalismo degli anni Trenta e Quaranta e la tragedia della Seconda Guerra Mondiale.


Conosciamo davvero questa pianta?

Andando oltre l’associazione sakura-hanami, si scopre una storia d’amore fra ciliegi e giapponesi lunga duemila anni.

Basti solo pensare che, a partire dai ciliegi selvatici che crescevano ovunque sul territorio nipponico, sono state create quattrocento varietà domestiche, cioè coltivabili.


Il ciliegio ornamentale, il cui nome scientifico é Prunus pseudocerasus, va distinto dal ciliegio fruttifero.

Esistono specie selvatiche (un centinaio) e specie coltivate. I ciliegi fanno parte della vita dei giapponesi. Essendo tra i primi alberi a fiorire in primavera, erano utilizzati dagli agricoltori come guida: la loro fioritura indicava che bisognava seminare il riso, pilastro della dieta nipponica.


All’inizio del Novecento, nessun altro popolo coltivava ciliegi (sia fruttiferi che ornamentali) in tale numero e le varietà coltivate, circa quattrocento, erano state ottenute in milleduecento anni tramite ibridazione delle uniche dieci specie selvatiche conosciute presenti nel Paese.

Le stagioni ben definite e le piogge abbondanti, nonché una terra fertilizzata dalle ceneri dei vulcani erano e restano tre fattori fondamentali per la diffusione di questi alberi. Essendo poi il Giappone un Paese montagnoso, la ripidità dei versanti porta a differenziali di temperatura in cui varietà diverse convivono vicine e possono ibridarsi anche naturalmente.


Il ciliegio selvatico più comune era lo Yama-zakura, cioè il ciliegio di montagna. Diffuso sui rilievi centrali, occidentali e meridionali, ha dei fiori singoli a cinque petali di colore rosa pallido; per svariati secoli è stato l’albero più celebrato, quello a cui si riferivano, parlando di ciliegi, gli scrittori, i poeti e i drammaturghi giapponesi. Questo fino alla fine del XIX secolo, quando la varietà coltivata Somei-yoshino diventò il sakura dominante. Un’altra specie selvatica è l’Oyama-sakura, o ciliegio di Sargent, dagli splendidi fiori rossi, all’epoca abbondante sull’isola di Hokkaido e nel nord di Honshu.



La specie Mame-zakura (Fuji), dalla chioma a forma di ombrello, cresceva in grande copia intorno al monte Fuji; produce fiori piccoli dal bianco al rosa chiaro. L’Oshima-zakura, dai fiori grandi, viene dalle ventose e piovose isole Izu, nel Pacifico a sud di Tokyo.

Per un giapponese era abituale raccogliere i semi di un ciliegio incontrato durante una gita in montagna e piantarli nel proprio villaggio, oppure innestare dei rami o delle gemme sugli alberi delle proprie zone.

La coltivazione domestica era iniziata nel periodo Heian (fra l’VIII e il XII secolo) e i fiori dei sakura divennero fonte di ispirazione e godimento estetico per i ricchi aristocratici.


Il primo ciliegio coltivato di cui si ha notizia è l’Edo-higan (ciliegio di primavera), caratterizzato da sottili rami flessuosi rivolti verso il terreno, che al momento della fioritura danno l’impressione di una cascata di lacrime.

Nell’812 d.C. la Famiglia Imperiale inaugurò la tradizione dell’hanami, organizzando nei suoi giardini la festa per la contemplazione dei fiori di ciliegio che dura ancora oggi ed è universalmente famosa. Le facoltose famiglie aristocratiche, nel tentativo di creare una cultura nazionale depurata dall’influenza cinese, avevano cominciato a celebrare il ciliegio come proprio fiore caratteristico.


In occasione dell’hanami, i poeti scrivevano componimenti sui ciliegi e sulla vita e li declamavano in pubblico. La più famosa antologia di componimenti poetici, “Raccolta delle diecimila foglie” (Man yōshū), dell’VIII secolo, cita i ciliegi in 43 componimenti. Un compendio del 905 d.C. circa, il Kokin Wakashā, contiene molte poesie in cui al fiore viene legata una simbologia di fugacità e fragilità della vita, dell’amore e della bellezza. Nel “Racconto di Genji”, di Murasaki Shikibu, dell’XI secolo, questi alberi sono descritti come il simbolo della giovinezza, dell’amore e dell’allegria, sebbene la fioritura sia troppo effimera nella durata.


Nel XII secolo, il poeta e monaco buddhista Saigyō dedicò molti componimenti poetici agli Yama-sakura del monte Yoshino, dove era nato il culto Shugendō, pratica ascetica basata sulla venerazione della montagna. Saigyō è autore di una lirica struggente e bellissima:

Vorrei morire

A primavera

Sotto i ciliegi in fiore,

nella luna piena

del secondo mese.


L’immagine a tre occhi di Zaō Gongen, dio di questa religione, era intagliata nel tronco di un ciliegio, considerato sacro.


A partire dal 1603, cambia la storia giapponese e di concerto anche quella dei sakura. Con l’introduzione dello shogunato e la fine di un periodo di guerre infinite, i vassalli (i daimyō) furono obbligati a risiedere per un anno nei loro possedimenti e per un anno nella capitale Edo (l’attuale Tokyo), qui dovendo mantenere una lussuosa abitazione con un grande giardino. I signori sostituirono l’ossessione della guerra con quella della coltivazione delle piante, anche perché lo shogun, in visita ai suoi sottoposti, sembrava gradire molto i bei parchi. Ogni daimyō portava con sé la flora della sua regione d’origine. Dal nord arrivarono la rosa del Giappone ed il cavolo fetido; da Honshu azalee e campanule; dal sud peonie, ortensie e glicine.


Ovviamente, arrivarono anche numerosi semi e rami di ciliegio delle più differenti varietà, che i giardinieri piantarono nella speranza di ottenere esemplari notevoli. E così avvenne: innestando un rametto, detto marza, dalla pianta madre nell’apparato radicale di un altro albero, il “portainnesto”, si attendeva che il rametto si appropriasse delle radici e del sistema vascolare, dando origine ad una nuova pianta. Alcuni signori feudali crearono dei giardini dedicati esclusivamente ai ciliegi: i sakura-en. Uno dei più famosi fu quello di Sadanobu Matsudaira che, alla fine del Settecento, oltre a piantare il glicine, i susini ed il loto, mise a dimora 142 varietà di ciliegi, di cui diceva che “l’effetto complessivo è una perfezione al limite dell’incredibile”.


Anche il popolo poteva godere della bellezza della fioritura, perché, nel corso appunto del Periodo Edo (1603-1868), furono piantati migliaia di ciliegi in luoghi pubblici. Per esempio, nel 1625 il terzo shogun Ieyasu Tokugawa costruì il tempio Kanei-ji a Ueno, per invocare la protezione divina sul castello di Edo, e piantò tutt’intorno centinaia di Yama-zakura del monte Yoshino.

Alla vigilia dell’epoca Meiji (1868-1912), i sakura rappresentavano dunque contraddittorie immagini di vita e di morte. Simbolo di vita, allegria, vigore e pace, nella letteratura erano anche associati, a causa della loro breve durata, alla fugacità dell’esistenza e della bellezza. Allo stesso tempo, simboleggiavano la rinascita primaverile ogni anno. Bastò spostare l’enfasi dalla vita alla morte per creare una nuova ideologia.


(continua nella seconda parte).

(Articolo a cura di Susanna Ribeca, scrittrice)

FONTE:

“Passione sakura” di Naoko Abe (2020) Bollati Boringhieri Editore




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