Articolo a cura di Susanna Ribeca, (scrittrice)
Il sake, per noi sakè, è uno dei simboli del Giappone e contiene un mondo di storie e tradizioni che vale la pena di conoscere.
Iniziando proprio da che cosa è: qui troviamo la prima sorpresa.
Il sake non è né un distillato né un liquore, ma un vino a base di riso, che si ottiene con un processo di macerazione e fermentazione.
In Giappone è conosciuto come nihonshu (日本酒 “alcol giapponese” o “liquore giapponese”), perché in giapponese la parola sake significa semplicemente “bevanda alcolica”, con leggere differenze di significato in base alla regione dove il termine viene utilizzato.
Secondo le leggi sugli alcolici, il sake è denominato seishu (“liquore limpido”), però in genere questa terminologia non viene mai utilizzata nel linguaggio comune. Può essere bevuto sia caldo che freddo.
Gli ingredienti sono semplici: acqua, riso e un fungo, l’aspergillus oryzae, chiamato anche koji, che è il responsabile della fermentazione e della saccarificazione del riso durante la preparazione.
Le teorie sulla nascita del sake sono diverse: alcuni affermano che sia nato in Cina intorno al quinto millennio a.C. nella zona intono al Fiume Azzurro, altri invece lo datano al XVII secolo a.C. nell’area del Fiume Giallo.
Da qui sarebbe passato in Giappone.
Altre teorie, invece, ne stabiliscono la nascita in Giappone nel III secolo d.C., citando un testo cinese, il Libro di Wei delle “Cronache dei tre regni”, che parla dei giapponesi come di un popolo che danza e beve alcool.
Il primo sake, derivato dalla fermentazione del riso con castagne, miglio e ghiande, era chiamato kuchikami no sake, ossia “sake masticato in bocca”, perché l’ingrediente fondamentale per attivare il processo era la saliva umana; poi si sputava il tutto in un tino a fermentare ed ottenere la prelibata bevanda.
Anche nel Sud America si prepara la chica, un liquore alcolico, dal mais e dalla masticazione.
La ptialina, un enzima presente nella saliva, permetteva infatti di iniziare il processo di saccarificazione, cioè la conversione in zucchero degli amidi.
La preparazione del sake attuale è stata codificata probabilmente intorno all’ottavo secolo dopo Cristo, durante il periodo Nara, quando si scoprì il terzo ingrediente fondamentale dopo acqua e riso: il koji, utilizzato in seguito anche per la fabbricazione di amazake, miso, natto e salsa di soia.
Sul sake esistono diversi racconti, alcuni mitici, rinvenuti in documenti storici compilati dalla Corte imperiale giapponese in questo periodo.
Fudoki, un insieme di documenti antichi che registra le cronologie delle province, afferma che il sake veniva fermentato con muffe. Altra importante fonte d'informazione è l'Engishiki, un testo legale del decimo secolo che riporta dettagli minuziosi sui metodi di produzione del sake, quando era privilegio quasi esclusivo della Corte imperiale, in particolare per uso riservato quasi totalmente all'Imperatore e durante le cerimonie.
I templi scintoisti e buddisti iniziarono a produrlo tra il dodicesimo e il quindicesimo secolo, periodo da cui derivano le tecniche moderne di fermentazione.
Il processo di produzione comincia dalla pulitura del riso, di cui viene conservato solo la parte centrale del chicco, dove è contenuto l’amido.
Più è raffinato il chicco, più nobile è il sake.
Il riso è in seguito lavato e lessato al vapore, poi inizia il processo di fermentazione con acqua e koji, che conferisce più struttura e sapore alla bevanda. Questo stadio viene chiamato kome-koji (riso di malto).
In seguito all’aggiunta dello shubo (lievito), gli zuccheri presenti nel composto si convertono in etanolo e il tasso alcolico del sake sale sensibilmente (18%-25% per volume).
Qui sta la particolarità, in quanto il riso subisce una fermentazione multipla parallela, un metodo molto sofisticato che prevede appunto la combinazione di processi di saccarificazione e di fermentazione per potenziare il contenuto alcolico sino al 20%.
Il sake è l'unica bevanda alcolica fermentata al mondo a nascere con questo particolare metodo.
Secondo alcuni documenti risalenti al Periodo Muromachi (1337-1573), per la produzione di sake si ricorreva a un processo di pastorizzazione chiamato hi-ire, e questo ancor prima che lo scienziato Louis Pasteur nascesse.
Esso prevede il riscaldamento del sake a 64°C sotto pressione prima della sua conservazione in appositi contenitori. A questa temperatura i batteri muoiono, l'attività enzimatica si arresta e il sapore della bevanda si fa più maturo.
Con l'evoluzione dei metodi di fermentazione, anche la produzione su larga scala divenne una realtà.
Durante la Restaurazione Meiji del 1868, fu legalmente permessa la fabbricazione del sake a coloro che avevano conoscenze e fondi necessari.
In un anno, le industrie raggiunsero le trentamila unità, ma alla stessa velocità aumentarono le tasse.
Questo portò alla chiusura di molti degli stabilimenti da poco aperti, fino a scendere a ottomila unità complessive.
Molte di quelle fabbriche di sake rimaste in affari erano di proprietà di grossi proprietari terrieri, che sfruttarono anche la sovrapproduzione del loro riso per realizzare la bevanda.
Al posto delle botti in legno, furono introdotti i serbatoi in acciaio smaltato, più facili da pulire, di più lunga durata e senza i problemi legati alla proliferazione dei batteri.
Questo cambiamento fu anche dettato dall’avidità del Governo, che spinse per la loro adozione e per la messa al bando dei barili in legno; il sake preparato nel legno, infatti, subiva un’evaporazione fino al 3%, che non avrebbe generato introiti nelle casse dello Stato.
Nel 1898, la tassa sul sake generò quasi il 46% del reddito totale delle imposte.
A causa della guerra russo-giapponese (1904-1905), il Governo bandì la produzione domestica del sake, chiamato doburoku, in quanto non era soggetta a tassazione.
Si sperava che, a seguito di questo provvedimento interdittivo, la produzione e la vendita del sake commerciale sarebbero aumentate, portando ulteriori introiti.
La legge, tra l’altro, è ancora in vigore.
Con l’avvento del secondo conflitto mondiale, la produzione subì un brusco ma prevedibile calo.
Il riso serviva come cibo per i soldati e le quantità utilizzabili per la produzione di alcolici erano molto ridotte.
Molte industrie ne risentirono; il Governo allora, tramite decreto, permise l’aggiunta di alcol puro e glucosio alla miscela di riso, una tecnica già scoperta nel XVII secolo e che permetteva una resa anche quattro volte superiore.
La quasi totalità del sake prodotto oggi si basa su questo procedimento, figlio di esigenze belliche.
Con la fine della guerra, il Giappone lentamente si riprese e così anche l’industria del sake.
Negli anni ’60, però, con l’arrivo sul mercato di nuovi concorrenti quali la birra, il vino ed i superalcolici, il sake venne superato dalla birra in termini di consumo. Era la prima volta che succedeva e segnò l’inizio del lento declino della produzione locale.
Di contro, la qualità migliorò notevolmente.
Le fabbriche di produzione del sake si chiamano Sakagura ed il professionista addetto alla sua produzione è detto tōji. Oggigiorno, il tōji è molto rispettato nella società giapponese, al pari dei musicisti e dei pittori.
Come risulta dalle designazioni stabilite dal governo giapponese, esistono diversi tipi di sake. Le denominazioni speciali sono:
Ginjo (吟醸). Il ginjo-shu è ottenuto da chicchi di riso a cui è stato asportato mediante raffinatura più del 40% di strato esterno. La fermentazione avviene a temperatura più bassa e richiede più tempo. Vi si può aggiungere sino al 10% di alcol distillato sul peso del riso raffinato. Ha una fragranza fruttata, detta ginjo-ka, e una lieve acidità. Questo tipo di sake è altresì ben strutturato (sensazione al palato) e offre un buon retrosapore. Le caratteristiche specifiche dei ginjo-shu variano da produttore a produttore, con le varietà più fragranti create per sottolinearne il ginko-ka e le altre, invece, con maggior enfasi sul sapore.
Daiginjo (大吟醸). Il daiginjo-shu è un tipo di ginjo-shu fatto con riso ancor più raffinato, cioè con almeno il 50% di strato esterno rimosso dal chicco. Il sapore è ancor più rifinito.
Junmai e Tokubetsu junmai (純米・特別純米). Questi due tipi, ricavati solo da riso, koji e acqua, sottolineano il sapore del riso e del koji ancor più che nelle altre varietà. Non richiedono particolari requisiti di raffinatura. Il junmai-shu è tipicamente più acido e dall'umami più evidente, con un grado di dolcezza relativamente basso. L’umami, che in giapponese vuol dire "saporito", è caratteristico del glutammato, un amminoacido presente in cibi altamente proteici, come carne e formaggio.
Junmai ginjo (純米吟醸). Poiché per questa varietà si usano le tecniche di fermentazione del ginjo, acidità e umami sono meno evidenti e il ginjo-ka più distinto.
Junmai daiginjo (純米大吟醸). La varietà junmai daiginjo-shu è considerata la più prestigiosa. I migliori sake appartenenti a questa varietà offrono una buona combinazione di raffinatezza di sapore e acidità/umami.
Honjozo (本醸造), In questa varietà l'enfasi è sul sapore. Possiede una certa acidità e umami, ed è molto adatto a sottolineare il sapore dei cibi con cui si accompagna.
Le diverse varietà di sake si distinguono anche per il metodo di raffinatura impiegato.
Shinshu (新酒). È il sake fermentato durante l'anno in corso.
Koshu (古酒). Trattasi di sake maturato a lungo, il cui periodo di maturazione può essere certificato.
Genshu (原酒.È il sake non diluito. Non aggiungendovi acqua dopo la pressatura, molti genshu hanno un basso contenuto alcolico e un sapore forte.
Tezukuri (手造).Fatto interamente con metodi manuali. Normalmente sono il junmai-shu e l'honjozo-shu fermentati con certi metodi tradizionali.
Namazake (Nama-shu)(生酒).Normalmente il sake subisce due pastorizzazioni prima dell’imbottigliamento. Il namazake, tuttavia, viene imbottigliato senza essere prima pastorizzato.
Nama-chozo-shu (生貯蔵酒.È un sake pastorizzato solo una volta, dopo la maturazione e subito prima dell'imbottigliamento.
Namazume-shu (生詰め酒). Anche questo è un sake pastorizzato solo una volta ma prima della maturazione.
Kijoshu (貴醸酒). Questo termine deriva dall'antico documento giapponese Engishiki, in cui appare un processo di miscelazione unico (shiori),che prevede l'uso di sake anziché di acqua durante la fermentazione. Del kijo-shu esistono anche sottovarietà come il koshu e il namazake.
Ki-ippon (生一本).Questo termine si riferisce ai junmai-shi fermentati presso un solo produttore, anziché ottenuti miscelando sake di più produttori.
Taruzake 樽酒).Conservato in botti di cedro, e per questo dal particolare aroma.
Hiyaoroshi (冷やおろし).Questo è un modo alla vecchia maniera di promuovere il namazume-shu. È sake pastorizzato una sola volta e invecchiato dall'inverno all'autunno successivo prima di arrivare sugli scaffali.
Nigorizake (濁り酒).Deriva dal moromi filtrato con un tessuto grezzo, processo che produce un sake un po' torbido. In passato non subiva alcuna pastorizzazione e conteneva lievito vivo. Oggigiorno viene invece quasi tutto pastorizzato per stabilizzarne la qualità.
Il sake per i giapponesi è molto di più di una bevanda. Esso ha svolto un ruolo centrale nelle celebrazioni nipponiche più importanti. Ecco alcuni esempi legati alle quattro stagioni.
In primavera, quando si celebra il Momo-no-sekku, o “festa della fioritura dei peschi” (3 marzo), le case si decorano con pupazzi speciali per festeggiare le bambine, per le quali si brinda con momozake, un sake a base di pesca, affinché crescano sane.
Più recentemente stanno diventando più popolari lo shirozake (sake torbido) e l'amazake (sake dolce).
Nella festività del Tango-no-sekku (5 maggio), la tradizione vuole che s'innalzino al vento enormi carpe di carta o di stoffa, si ornino le abitazioni con pupazzi vestiti con antiche armature, ci s'immerga in acqua profumata con gambi di giglio (shobuyu) e si beva sake con petali dello stesso fiore, detto shobuzake.
L’ estate è stagione di interminabili omatsuri.
Nel Natsugoshi-no-sake (30 giugno), si beve lo speciale sake che lava via le impurità accumulate nella prima metà dell'anno. L'occorrenza coincide con il termine della piantatura del riso, che per i contadini giapponesi segna tradizionalmente l'inizio di un periodo di riposo. Il sake in questo caso è considerato il mezzo augurale di un'estate mite e un raccolto memorabile in autunno.
Choyo-no-sekku, o “festa dei crisantemi” (9 settembre).
Per gli antichi cinesi, dai quali questa festa deriva, salire una montagna e bere vino di crisantemo proprio in questo giorno dell'anno era augurio d'immunità dalle calamità. Anche se in Giappone è caduta in disuso, la tradizione di bere sake con fiori di crisantemo è tuttora osservata.
In autunno si celebra addirittura dal 1978 la Giornata nazionale del sake (1° ottobre)
Ai dodici mesi dell'anno era associato un animale dello zodiaco cinese.
Il decimo segno, il gallo, apparteneva al mese di ottobre e il carattere calligrafico a questo assegnato (酉) fu ideato per assomigliare a una giara e fu poi usato per indicare proprio la parola “sake”.
Ottobre è anche il mese della raccolta del riso e dell'inizio della fermentazione del sake, circostanza che portò il Governo a designare il primo giorno del mese come giornata nazionale della bevanda.
In inverno, il 1° gennaio, è tradizione che le famiglie si riuniscano per augurarsi vicendevolmente un buon inizio, occasione in cui bevono un sake speciale chiamato toso.
Festa per il raggiungimento della maggior età (secondo lunedì di gennaio).
In Giappone legalmente si può cominciare a bere alcol solamente al compimento dei venti anni, giorno in cui si diventa adulti. L'origine di questa ricorrenza risale all'antica cerimonia conosciuta come genpuku, giorno in cui i figli dei nobili e dei samurai tra gli undici e i diciassette indossavano il loro primo abbigliamento da grandi, si pettinavano come i grandi e ricevevano inoltre un nome per segnare il loro ingresso all'età adulta.
Anche questa giornata oggi è festeggiata bevendo sake.
Yukimizake: usanza elegante, che dovrebbe risalire al decimo secolo, durante la quale si beve sake fissando in estasi un paesaggio innevato.
I diversi tipi di sake consumati in queste occasioni erano, e sono ancora, il modo dei giapponesi di fondersi con la natura.
Articolo a cura di Susanna Ribeca, (scrittrice)
(Fonti: You Tube-Giappolia Tv, Wikipedia, siti specializzati.)
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