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WABI-SABI: una vita perfettamente imperfetta

(Articolo a cura di Susanna Ribeca, scrittrice)


PRIMA PARTE


Diciamolo subito: il concetto di wabi sabi, intimamente radicato nella cultura giapponese, sulla base del quale i nipponici si orientano nel mondo e ne apprezzano la bellezza in ogni sua sfaccettatura, non è facile da spiegare.


È un po’ come definire l’amore.


Si tratta di una comprensione intuitiva, che rispecchia un modo assai diverso di pensare ed imparare.

Al di fuori della scuola e dell’università, i giapponesi apprendono soprattutto osservando e sperimentando; gli occidentali, invece, pensano abitualmente in maniera logica e razionale.


Per godere appieno di questa maniera di vivere il mondo, dobbiamo essere consapevoli che spesso il vero messaggio risiede nel non detto. Meno testa, più cuore.


Come per il concetto di “ikigai” (qui l’articolo dedicato), il wabi sabi è diventato la base di metodi e manuali che cercano di aiutare l’individuo occidentale contemporaneo a liberarsi dalla morsa di un’esistenza frenetica e a volte senza senso, votata allo spreco e alla complessità, a favore di un modo di vivere più semplice e soprattutto carico di bellezza


Passo dopo passo, cercheremo anche noi di imparare a leggere la bussola che la cultura giapponese ha tramandato e di estrarne dei buoni principi che potrebbero servirci nel nostro cammino.



La parola wabi sabi non è nei dizionari, anche autorevoli come il Kōjien.

Possiamo invece trovare i termini separati: wabi significa “gusto della semplicità” (anche se originariamente aveva dei collegamenti con il verbo wabiru, “preoccuparsi”, e l’aggettivo wabishii, “miserevole, solo, povero”) e sabi vuol dire “patina, aspetto antico, elegante semplicità” (collegato all’aggettivo sabishii, “appartato, separato”).


Il wabi è la bellezza suprema in mezzo alla realtà oscura della vita, è un bello evidente in ogni aspetto dell’esistenza, non solamente in ciò che è vistoso, colorato e ovvio.

Scrisse il sacerdote buddista Kenko sette secoli fa: «Dobbiamo guardare la fioritura primaverile soltanto quando è al culmine, oppure la luna soltanto quando è limpida e senza nubi?»


Il messaggio è chiaro: ogni situazione, ogni aspetto della vita ha una sua intrinseca attrattiva, che bisogna imparare a riconoscere ed assaporare e da cui ricavare una sensazione di tranquillità, umiltà, appagamento e riconoscenza per ciò che già possediamo. Da qui ad ammettere che non abbiamo bisogno di troppe sovrastrutture per vivere, specialmente consumistiche, il passo è breve.



Il wabi è anche legato alla cerimonia del tè teorizzata nel sedicesimo secolo da Sen no Rykyū, maestro del tè di Toyotomi Hideyoshi, famoso signore della guerra.

Mentre in Giappone vigeva l’imperativo di ostentare le ricchezze, circondandosi di lussuosi oggetti provenienti dalla Cina, fra cui ciotole e tazze e cucchiai cinesi da mostrare agli invitati, Rykyū dette inizio ad una rivoluzione silenziosa.

Egli ridimensionò lo spazio fisico della stanza destinata alla cerimonia per modificare i principi degli ideali estetici che vi si associavano, riducendo il tutto all’indispensabile: un luogo piccolo (dai tre ai sei metri quadrati); finestre minuscole, per ridurre la luminosità permettendo l’amplificazione degli altri sensi; ospiti ed invitati così vicini da sentire ognuno il respiro degli altri, favorendo la condivisione; utensili fabbricati con materiali naturali come il bambù oppure riciclati.

Gli utensili venivano radunati all’inizio del rito del tè e rimossi alla fine, in modo che gli ospiti potessero concentrarsi sui gesti di preparazione della bevanda, sulla suggestione provocata dai fiori di stagione e sulla poetica pergamena appesa nel tokonoma (la piccola alcova presente nella stanza) allo scopo di stimolare il pensiero.


La cultura del tè divenne cultura della semplicità, dell’ascetica bellezza che permette di riflettere sulla natura stessa della vita.



L’uso del termine sabi si è evoluto nei secoli per comunicare una profonda e calma attrattiva che emerge con il passare del tempo. La percepiamo con la vista come la patina lasciata dagli anni, dall’erosione atmosferica, come i segni dell’antichità.

Ha a che fare con la raffinata eleganza dell’età, è fascino che si rivela con l’uso e il decadimento.


Il suo significato più profondo supera però la consistenza dell’oggetto reale per rappresentare il modo in cui tutte le cose evolvono e periscono e può suscitare in noi una risposta emotiva, sovente impregnata di tristezza, quando riflettiamo sull’evanescenza della vita.


Accade quindi che una sensibilità wabi sa riconoscere una bellezza sabi; la loro unione costituisce la base della psicologia giapponese.

Possiamo dunque dire che il wabi sabi è profondamente connesso a quel genere di bellezza che ci ricorda la transitorietà della vita. Da ciò deriviamo una serie di lezioni:

  1. Il mondo appare molto diverso quando s’impara a vederlo e a conoscerlo attraverso il proprio cuore.

  2. Tutte le cose, compresa la vita stessa, sono provvisorie, incomplete ed imperfette. La perfezione è quindi impossibile, mentre l’imperfezione è la condizione naturale nel mondo, noi compresi.

  3. Nella semplicità possiamo trovare bellezza, valore e conforto.




Il modo di vivere contemporaneo, così veloce, così votato all’arrivismo, al successo a tutti i costi, alla performance e al conformismo, stanca la mente ed il cuore.


Abbiamo bisogno di pace.


In questo può aiutarci il wabi sabi con il suo messaggio vecchio di secoli, eppure così attuale.

La bellezza porta armonia, tranquillità, consapevolezza di sé e va ricercata in ogni cosa.


Non c’è bisogno di invidiare le apparentemente perfette vite degli altri, perché la perfezione non esiste.

Non essendo noi perfetti, non dobbiamo auto-flagellarci, ma accettare la nostra imperfezione. Comprare oggetti inutili non colma il vuoto che sentiamo, invece essi occupano spazio vitale nelle nostre case e creano il disordine che ci impedisce di rilassarci e pensare con semplicità.


Regoliamo le nostre esistenze sull’alternanza delle stagioni, godiamo dei paesaggi, delle sensazioni, dei frutti e dei fiori che il periodo ci offre, magari portando a casa un ciottolo raccolto sulla spiaggia o una foglia che appassirà!

Con essi arricchiremo le stanze in cui abitiamo.

E non dobbiamo avere il terrore di invecchiare: è nella natura delle cose.


Impareremo tutto questo.


E ricordate: meno testa, più cuore.

Articolo a cura di Susanna Ribeca, scrittrice.



Fonti: Beth Kempton, “Wabi Sabi. La via giapponese a una vita perfettamente imperfetta”, (Corbaccio).

Erin Niimi Longhurst, “Japonisme. Ikigai, bagno nella foresta, wabi-sabi e molto altro” (Harper Collins Italia).


A BREVE LA SECONDA PARTE...



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