I fiumi del Giappone pullulano di mostri, questo è incontestabile.
Alcuni sono più pericolosi di altri e sono entrati nell’immaginario nipponico per restarci.
KAPPA
È il caso del kappa, un mostro anfibio molto conosciuto e temuto.
Iniziamo dal suo aspetto davvero singolare: alto poco più di un metro, pesa circa quaranta chili e risulta facile scambiarlo per un bambino, tanto è vero che il suo secondo nome è Kawataro, 川太郎, bambino o figlio del fiume.
È un misto di tartaruga, rana, scimmia o tigre, più o meno antropomorfo, spesso con un becco al posto del muso e la schiena ricoperta da un carapace di testuggine. La sua natura acquatica è evidenziata anche dalla pelle di colore giallo-verde, a volte pelosa, ma più spesso viscida come una rana o ricoperta di squame, con dita palmate ai piedi e alle mani, che gli consentono di nuotare con velocità e disinvoltura.

L’elemento più caratteristico (a parte che è goloso di cetrioli) è però la testa: i capelli sono disposti a cerchio, lunghi, con il capo scoperto sulla cima, ricordando la tonsura dei monaci cristiani. La sommità del capo ha una rientranza concava, una sorta di piatto, che raccoglie del liquido o dell’acqua, una sostanza vitale per il kappa.
Nonostante sia un essere piccolo, la presenza dell’acqua sulla testa gli consente di esercitare una forza di gran lunga superiore a quella degli uomini: ama trascinare in acqua cavalli, buoi e esseri umani, o sfidare questi ultimi in combattimenti di sumō.
Esiste però un modo sperimentato per indebolirlo e sconfiggerlo, che sfrutta il proverbiale rispetto dell’etichetta dei kappa: di fronte a un profondo inchino, ogni kappa deve ricambiare il gesto, il che lo costringe a rovesciare inavvertitamente per terra il suo liquido vitale.
Dunque, il nostro mostro è un essere ibrido non solo nell’aspetto, ma anche nei comportamenti oscillanti rispetto al genere umano. Da una parte, ha un carattere malevolo e litigioso, in grado di costituire una minaccia persino mortale.
Questo suo lato pericoloso è sottolineato in particolar modo nelle credenze più antiche delle zone rurali, che ammoniscono i bambini a non avvicinarsi ai fiumi ed agli stagni, visto che gli si attribuisce la responsabilità degli annegamenti.

Il kappa non solo trascina uomini, donne e bambini in acqua ma, attraverso il loro sfintere, succhia tutte le interiora, condannandoli al rapido deperimento o alla morte. Anticamente era tanto infido da nascondersi sotto i gabinetti tradizionali, aperti direttamente su un corso o un pozzo d’acqua, stuzzicando dal buio sottostante le parti intime dell’ignaro di turno. D’altronde, in molte leggende, l’esito di questi tentativi malvagi è un fallimento, perché spesso il kappa finisce mutilato o viene catturato. Per riavere l’arto perduto o per riacquistare la libertà, è costretto a stringere un accordo con gli umani; un patto, sigillato a volte da un giuramento scritto, che lo trasforma in un essere benevolo. La sua riconoscenza è espressa con rivelazioni di medicinali segreti, soprattutto per le malattie alle ossa, con il ritrovamento di oggetti preziosi perduti in acqua, oppure con il rifornimento quotidiano di pesci.
Nel corso dei secoli, attraverso un’operazione di recupero etnologico, sociologico e culturale, il kappa è diventato uno degli yokai più popolari del Giappone. Nascono in continuazione nuove feste in suo onore, tantissimi sono i toponimi a lui ispirati (stazioni, uffici postali, strade) o le opere letterarie, cinematografiche, manga o anime interamente dedicate a lui; la sua immagine ha raggiunto nell’industria culturale dei gadget e dei giocattoli una onnipresenza simile a quella delle famose icone nipponiche contemporanee come il gattino Hello Kitty, fino ad arrivare, negli anni Ottanta, alla costituzione di una curiosa “Repubblica Federale dei kappa” da parte dei suoi tanti estimatori.
Il motto di questa Repubblica con sede a Tokyo, formata da gruppi identitari e nostalgici degli ambienti rurali, era «l’acqua è vita, il kappa è cuore». Nel programma ecologico si dichiarava di «volere risanare l’ambiente acquatico, in modo da far rispuntare il verde intorno ai fiumi delle città e rendere questi posti adatti ai giochi».
(Scritto da Susanna Ribeca, scrittrice)
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